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Gruppo di Lavoro A.Ge.I.
Geografie del Sacro: nuove prospettive per la ricerca geografica
Coordinamento: Prof. Gianfranco Battisti

Il problema scientifico
Come sappiamo, la geografia umana nasce in pieno periodo positivista, che vede l’incorporazione dell’uomo nella natura, intesa unicamente nel suo versante accessibile ai sensi. Nasce quindi una nuova visione antropologica. L’uomo non è più il vertice di una Creazione ma un animale un po’ evoluto e gli animali, a quanto si sa, non hanno un pensiero trascendente. Diventa così legittimo il progetto di riordinare senza limitazioni il volto di una Terra nella quale non è più ravvisabile lo specchio della Creazione, come riteneva ancora Linneo (1735, 1758). Nè vi è un modello di perfezione al quale riferirsi nell’opera di costruzione dell’habitat dell’uomo, non essendoci nè un paradiso terrestre nè dei paesaggi ideali in qualche modo “ispirati”.
A cavallo tra il secondo e il terzo millennio, il postmodernismo (MINCA, 2001; MARCHI, 2004) porta all’abbandono del positivismo e più in generale del razionalismo, come già aveva fatto l’arte a cavallo tra ‘800 e ‘900, mentre si consuma definitivamente la divisione tra la geografia umana e la geografia fisica, che a questi canoni è rimasta ampiamente legata. La “svolta culturale” in geografia si colloca in questo contesto, con risultati che ricordano l’apertura del cancello di una prigione, nella quale il razionalismo aveva cercato di ingabbiare, a volte a forza, la realtà nella quale siamo inseriti e le sue rappresentazioni (FARINELLI, 2009). Una volta analizzate le diverse determinanti culturali, più o meno intelligentemente decostruite, se si vuole procedere oltre è però necessario riconoscere il ruolo fondamentale della coscienza nel dipingere la realtà. Qui si pone un problema di portata cosmica, vale a dire la definizione di cosa intendiamo oggi per coscienza, di fronte ai progressi delle neuroscienze, dell’informatica e della robotica. Nelle scienze umane si fa ricorso alla filosofia ed alla psicologia. Appare comunque evidente che abbiamo bisogno di un quadro concettuale che vada al di là delle semplicistiche interpretazioni forniteci da Freud cent’anni or sono, ormai sconfessate dalla ricerca contemporanea.
Raccogliendo i fili di una lunga riflessione sulla geografia culturale (2003), nel libro che costituisce il suo testamento spirituale – La geografia del tempo – Adalberto Vallega ha trattato in successione il tempo dell’esistenza e il tempo della ragione per approdare infine al tempo della religione. Quivi ha avuto il coraggio di affrontare due questioni che i geografi avevano messo in soffitta, tra gli abiti smessi e non più indossabili, all’indomani della morte di Ritter: cosa c’è oltre il tempo e quali rapporti possono intercorrere tra tempo ed eternità.
All’interno di un’analisi epistemologica rivolta alla tradizione europea, Sanguin (2016) sottolinea come Vallega abbia qui tracciato i contorni di una geografia escatologica. La religione torna dunque di attualità come oggetto di studio rilevante, se non per le scienze della natura, certamente per quelle dell’uomo, com’è già stato per la storia (BLOCH, 1924; ELIADE, 1948), la filosofia (ZALESKI, 1987), la sociologia (STARK, 1966, 1996, 2001).
Per quanto abbastanza numerosi e spesso pregevoli siano stati i contributi sinora apparsi sugli aspetti geografici della religiosità (DEFFONTAINES, 1957; MONTI, 1983, 2000; CERRETI, 1987, 1993, 1998; GALLIANO, 2002, 2003, 2006; ecc.), occorre tuttavia riconoscere che essi hanno continuato a muoversi prevalentemente all’interno del paradigma positivista, dal quale la geografia umana ha tratto il fondamento. Il punto fondamentale essendo il rifiuto della metafisica, operato dal positivismo e ribadito dal Circolo di Vienna, anche la ricerca sui fenomeni culturali ha teso a privilegiare gli aspetti tangibili, materiali. L’approccio, sia esso determinista (vetero e
neopositivista) ovvero possibilista,1 non si è distaccato dalla visione evoluzionista che ritroviamo altresì nelle concezioni espresse, contemporaneamente, dalla nascente antropologia culturale (TYLER, 1871). La tematica religiosa è presente nel grande alveo del movimento postmodernista (MINCA, 2001; MARCHI, 2004), che irrompe in seguito all’abbandono dell’idea di progresso che ha condizionato la seconda metà dell’800 e la metà centrale del ‘900. Partecipa infatti alla riscoperta del sacro, fenomeno sociale che si manifesta in una pluralità di direzioni, dentro e fuori dalle religioni tradizionali. Nella geografia post-moderna si è voluto distinguere così una corrente spiritualista (ANDREOTTI, 1994), che però trova le sue espressioni più convicenti nell’analisi degli elementi romantico-letterari rintracciabili nel paesaggio. Siamo in realtà di fronte ad una delle tante varianti di una geografia umanista (LANDO, 2012), che per definizione si pone in antitesi alla geografia positivistica. Così come la rivoluzione scientifica dell’epoca moderna aveva eclissato le certezze metafisiche, con il passaggio al postmoderno svaniscono adesso le certezze di una scienza che considera le realtà da essa analizzate come degli assoluti.2 Sul versante culturale la perdita dell’assoluto, che è iniziata appunto dalla dimensione religiosa, vede l’uomo contemporaneo concentrarsi sugli eventi, vale a dire sull’effimero, il che è congeniale ad una concezione ludica della vita (MINCA, 1996). Nasce anche da qui l’esigenza di una grande riunificazione: la “nuova alleanza”, più volte auspicata su entrambi i versanti (MARITAIN, 1932; PRIGOGINE, 1979). Pur avendo investigato approfonditamente i rapporti tra spazio e tempo (BATTISTI, 1995), la ricerca geografica non ha ancora affrontato il nodo del soprannaturale, che non sta nei riti ma nel nocciolo delle credenze e la loro incorporazione in un paradigma scientificamente accettabile. Ricorrendo al linguaggio di Vallega (1995) potremmo definirlo il processo orientato che coinvolge assieme una realtà materiale ed una spirituale. Dunque, una tematica che non può non interrogare il geografo, la cui posizione epistemologica si situa all’interfaccia tra le scienze dell’uomo e quelle della natura.
Il problema trascende infatti la geografia. All’interno delle scienze “dure”, gli astrofisici si confrontano con la “materia oscura”, della quale riconoscono gli effetti pur non essendo in grado di “vederla”.3 O non sarà forse anche questa un’interpretazione analoga a quella dei primitivi, i quali attribuivano al supernaturale i fenomeni ai quali erano incapaci di dare una spiegazione? In ogni caso, l’invisibile – indipendentemente dal valore che vogliamo attribuirvi – esercita degli effetti reali su quella che consideriamo la nostra realtà. La fisica considera inoltre gli universi multipli come una possibilità concreta (tra l’altro sembrerebbe l’unica via per consentire i viaggi nel tempo), il che sarebbe pienamente compatibile con la problematica propostaci da Vallega, di un tempo apparentemente senza traiettoria, collage di eventi per i quali non riconosciamo nè un ordine né delle relazioni causali. In quest’ottica, verrebbe appunto a cadere la frattura tra le “due culture” (PERUCCHI, 1976), poiché di fronte ai concetti di infinito e infinitesimo, anche le scienze nomotetiche, pur riuscendo a produrre leggi causali di ampia validità, finirebbero col riconoscere una realtà composta da avvenimenti piuttosto che da elementi materiali (ROVELLI, 2017). Siamo sul fronte avanzante della scienza: quanto tutto ciò possa dialogare utilmente con il nucleo comune di credenze religiose che è dato ritrovare presso tutti i popoli, è materia sulla quale gli studiosi si cimenteranno nel secolo attuale. Non foss’altro perché una maggiore comprensione delle logiche spaziali proprie delle diverse religioni può attrezzarci meglio di fronte alle nuove “guerre di religione” (AYUSO et al., 2016) che stanno mutando il volto di interi paesi.
1 Secondo l’interpretazione data all’opera di Vidal de la Blache (FEBVRE, 1922). 2 Viene così rivalutata la posizione di W. Dilthey (1833-1911), il fondatore dell’dealismo tedesco, che equiparava il naturalismo ad un nuova forma di metafisica. 3 Ad onor del vero, sembra che una rifondazione della seconda legge di Newton eviterebbe la necessità di ipotizzare l’esistenza della “materia oscura” per spiegare la struttura del cosmo (VERLINDE, 2016).
Sembra allora auspicabile uno sforzo intellettuale che tenda verso una convergenza delle problematiche della fede con quelle della scienza (BATTISTI, 2000). Approfondire le reciproche visioni consentirebbe tra l’altro una ricomposizione epistemologica suscettibile di valorizzare il carattere proprio della geografia, che è fondato sulla sintesi, verificata nello spazio, di conoscenze provenienti da ambiti disciplinari diversi. Saperi tutti i cui risultati in materia si vuole porre a confronto. Ci sembra un modo appropriato per non lasciar cadere l’eredità intellettuale di Vallega, come implicitamente suggerisce Sanguin.

Bibliografia di riferimento
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Elenco provvisorio delle tematiche che ci si propone di investigare
I segni materiali della fede e la loro distribuzione spaziali Gli edifici religiosi: catalogazione secondo tipologie progettuali, funzionali, formali e giuridiche. L’organizzazione spaziale come proiezione della fede e della sua assenza. Manufatti, santuari, monasteri e città religiose quali elementi di trasformazione/creazione del territorio. I segni inscritti nel paesaggio quale variegata categoria di beni culturali. Il riuso degli edifici e degli spazi sacri. L’aspetto percettivo Il luogo reale quale teatro dell’esperienza mistica e quale tentativo di ri/crearla. Il luogo del rito come spazio aperto e chiuso. La rappresentazione di territori, eventi e concetti tra arte, scienza e fede. La duplice visione e la sua rappresentazione: il cielo in terra e la terra vista dal cielo nelle scienze e nelle arti. Le diverse prospettive: geografica/storica, scientifica/culturale Il rapporto di scala geografico: locale/universale nella cultura e nella prassi religiosa. Il rapporto di scala temporale: il senso del tempo come attimo, sequenza, ciclo, eternità. Spazio e tempo nella dialettica delle discipline scientifiche ed umanistiche. L’itinerario religioso quale metafora della vita umana e le sue mutevoli declinazioni attraverso gli interventi sul territorio. I fenomeni religiosi come fatto sociale La distribuzione geografica dei fenomeni religiosi (gruppi, confessioni, pratiche, ecc.). Il risvolto economico delle religioni. La geopolitica delle religioni.